The Young Pope/The New Pope – Simonetta Caminiti


LE MIE ANALISI DELLA SERIE CULT DI PAOLO SORRENTINO, ARTICOLI DEL 2016 E DEL 2020, PRESTO (ESTATE 2024) AL CENTRO DEL PRIMO APPUNTAMENTO COL MIO PODCAST “LE DIVAGAZIONI – I capolavori non hanno scadenza!” (Un tentativo di rilettura personalissima di “manufatti” letterari, cinematografici, televisivi e di costume e società, vintage e non solo).

The New Pope – la certezza è un alito di vento.” Ai primi due episodi non sei preparato. L’impatto con i personaggi, la storia e lo stile ti lasciano spaesato: li adori o li detesti, oppure, indeciso, speri che presto qualcosa faccia virare definitivamente le tue sensazioni verso uno dei due poli: la distanza da questo piccolo e inverosimile mondo messo in piedi da Paolo Sorrentino, o, al contrario, il suo fascino irresistibile. Ed è il secondo polo, a nostro avviso, quello che, ingranando puntata dopo puntata, “The Young Pope” ha raggiunto con prepotenza. Un mondo affollato di personaggi, di sentimenti paradossali, di situazioni grottesche: di storie e dialoghi che sembrano prendere corpo da un romanzo più che da una sceneggiatura televisiva. Il mondo di Lenny Belardo, il papa giovane con gli occhi acquamarina e il fascino nevrotico di Jude Law. Chi è Lenny? Papa Pio XIII: conservatore o spiazzante conoscitore della società, soprattutto quella mediatica; sadico narciso o scanzonato amante del bello; insensibile e indomabile politico, oppure delicatissimo e suggestionabile ragazzo, del tutto impreparato alle ingiustizie del mondo. Santo oppure diabolico. Lenny ha avuto due genitori e un fratello spirituali; è cresciuto in un istituto per orfani negli Stati Uniti, accudito da Suor Mary (Diane Keaton), che non a caso è la sua favorita consigliera anche oggi, durante il suo pontificato. La sua “famiglia” è migrata dagli Stati Uniti allo Stato Vaticano per supportarlo nella sua vita istituzionale e nei suoi conflitti di uomo. Non senza invidia, non senza l’enorme difficoltà di sintonizzarsi con una personalità contrastata come quella di Lenny. Una faccenda intricata, nella quale si stagliano figure epocali, macchiette dallo spessore letterario come il Cardinale Voiello (Silvio Orlando): dapprima impegnatissimo nella caccia agli scandali che possano liberare la Chiesa romana da una figura scomoda come il giovane Pio (“Cerchiamo i suoi peccati, soprattutto i peccati: i peccati del passato si ripeteranno nel futuro, perché l’uomo è come Dio: non cambia mai”): in seguito, però, persuaso e affascinato anche lui dall’anima ferita di Lenny. Lenny che forse, in fondo, non è neppure così convinto della esistenza di Dio; Lenny che porta avanti un’idea della Chiesa reazionaria, per nulla preoccupato di piacere ai fedeli; Lenny che fin da bambino, però, ha manifestato in gran segreto delle abilità quasi mistiche, capacità vicine ai miracoli dei santi. Occhiali da sole vistosi, canguri che saltano (e muoiono) nei giardini di un Vaticano mai stato così pop, sigarette a gogò, nuotate in piscina e sessioni private di pilates, musica leggera, amplessi che si spiano, al momento della preghiera, da una finestra sul cortile. È questo il  regno di Pio XIII, a tratti così dispersivo, e per altri versi coerente con le venature sottili del protagonista. L’eterno orfano: un uomo che non ha una visione del mondo se non come gigantografia dei suoi dolori e delle sue gioie di bambino abbandonato (“Non posso vedere Dio perché non posso vedere mio padre e mia madre”). La morale della favola, che non trascura elementi reali e forti quali la corruzione e la pedofilia nell’ambito della Chiesa cattolica, che non lascia al caso temi come l’innamoramento e la castità, la capacità di dare ma soprattutto di ricevere l’amore di qualcun altro, è che si possono raggiungere i vertici del potere, si può salire sulle vette del mondo: ma si resta sempre, nella sostanza, quello che si è stati quando si stava sbocciando. Quando si lottava per essere accettati, quando il rifiuto di mamma e papà significava l’esclusione quasi definitiva della speranza, dell’empatia, della capacità di cogliere fino in fondo la bellezza. Eppure, ciò che ammala, alla fine di tutto, è precisamente la stessa cosa che potrebbe guarire: l’abbandono lascia il posto oggi all’illusione di un ritorno, la necessità che tiene in vita oppure uccide, la sola possibilità di provare ancora emozioni che scuotono l’anima. Un capolavoro nella fotografia, nel ritmo, nella cura di particolari apparentemente inspiegabili e densi, invece, di una venerabile poesia, la serie in dieci episodi di Paolo Sorrentino. Ma soprattutto l’esperimento riuscito di racchiudere gli ingredienti di un grande romanzo in un manufatto televisivo, scritto coi chiaroscuri del lirismo e di una sana, attualissima filosofia. E pervaso dalla sola forza che muove le grandi cose del mondo, la forza che genera e illumina i dialoghi fino all’ultima sequenza: quella, inarrestabile, disarmante, eterna, del dubbio.

“La certezza è, di nuovo, un alito di vento”.[Stagione meno amata e più “indigesta” (?) della precedente. Più intricata, ma anche assai più ricca di input attorno ai quali riflettere e, se la si conosce a fondo, ad altissimo tasso… emozionale]<Dove eravamo rimasti> Un infarto, una morte di crepacuore alla vista, tra la folla, dei suoi indimenticati genitori. Con Lenny Belardo, il Papa giovane, il Papa orfano di Paolo Sorrentino interpretato dal più straordinario Jude Law di sempre, ci eravamo separati così. Ma davvero, con Lenny Belardo, ci eravamo separati così? Forse no. La sequenza più significativa (e “definitiva”) di The Young Pope risale a qualche puntata precedente. Il giorno in cui il cardinal Spencer aveva esalato l’ultimo respiro nel proprio letto, ma solo dopo aver supplicato Lenny di dirgli la verità: Dio esiste davvero? La risposta – aveva pensato Spencer, un padre per Lenny, un padre tutto umano, visto che del pontificato del giovane Pio XIII era stato invidioso – stava tutta in una questione. Gli ambienti di Lenny Belardo avevano sentito parlare, decenni prima, di un vero miracolo che il piccolo “Pio” aveva compiuto da bambino: pregando, aveva sottratto alla morte la madre di un amico e coetaneo, negli Stati Uniti. L’aveva pressoché richiamata in vita laddove la donna stava agonizzando. “Sì,” è la risposta di Lenny Belardo al cardinal Spencer: l’ho fatto davvero, ho guarito con le mie preghiere quella donna. (Confessione/risposta che scorre nel flashback vivissimo della sua infanzia). Spencer ha la prova dell’esistenza di Dio, oltre che delle capacità oltreumane del Papa. “Adesso, finalmente, si muore” sospira il cardinale. Rende Lenny orfano per la seconda volta, bambino per la seconda volta: veramente uomo, forse, per la prima. Perché un istante dopo le esequie, pur dopo un disperato pianto solitario di Lenny al cospetto di Spencer esanime, al giovane Pio basta l’alito del vento tra gli ulivi… e sorride. Sorride perché avverte la presenza del suo defunto “secondo padre”, è uomo tra gli uomini, ha più certezza in quell’alito di vento che nei “miracoli”, nei prodigi incontrovertibili compiuti in una vita. <L’esordio eccellente della nuova stagione>The New Pope (seconda stagione della serie HBO creata da Paolo Sorrentino) esordisce coi riflettori puntati sulla sala operatoria in cui Lenny sta subendo un trapianto di cuore (“il cuore di un musulmano” scopriamo in tempo reale); poi, giace in coma irreversibile. E l’elezione del nuovo Papa ha i retroscena esilaranti e commoventi cui eravamo stati abituati nella prima stagione. Intanto, l’anticamera del conclave, ovvero un colloquio informale tra i cardinali che si svolge tra le canne di bambù, e le considerazioni di un quanto mai ambizioso cardinal Voiello (sempre più magnifico, Silvio Orlando); le trame di palazzo giungeranno ad accordo su tale Tommaso Voglietti, scelto più perché manipolabile, emotivo e incolore, che per qualunque talento possa avvicinarlo al Soglio Pontificio. I fili del burattino, nel disegno generale delle cose, saranno diretti dal Segretario dello Stato Vaticano Voiello, sempre più convinto di essere un “topo di fogna” del quale la Chiesa ha fondamentale necessità per mantenere fasti di facciata e sostanza. Sbagliato. Il cardinal Voglietti, più o meno psicolabile che possa sembrare, si rivela uno smaliziato e progressista primo ministro della Chiesa, seriamente intenzionato a fare la rivoluzione: anzitutto, spossessando gli alti nomi della Chiesa del proprio conto corrente, consegnando gli ori della stessa ad attività di beneficenza; parallelamente, spalancando le porte agli immigrati. Com’era prevedibile, dopo tanto riso amaro, lo vedremo folgorato da colpo al cuore, morto di una morte sospetta, eliminato quale scomodissimo e imprevedibile fautore della grande utopia. È da qui in poi che le sotto-trame del grande intreccio di The New Pope si fanno troppo numerose e dense per raccontarle. La folla dei comprimari compone romanzi di vita più o meno interessanti; e forse è più utile riferire il corso che si snoda attorno a Sir Brennox, quel John Malkovich vestito da Papa che, mentre Pio XIII respira intubato nel suo letto d’ospedale, prende il suo posto in Vaticano. John Brennox è il grande assente dei primi due episodi, il protagonista del terzo e del quarto ma, tutto sommato, non quello indiscusso di questa serie. “Sono fragile porcellana”, ammette l’egocentrico cardinale che, tra le colline del Regno Unito, svolgeva un’agorafobica vita da dandy. Il merito della sua popolarità a Roma? Un libro che firmò anni addietro, La via media. La sua capacità di convertire al cattolicesimo parte della Chiesa anglicana; di influenzare, parola chiave dei nostri anni, il costume di vita di sacri e profani, pur sempre restando blindato nel suo soffice e cupo castello. Anche lui colpito da una perdita precoce: il fratello gemello, il predestinato, il bellissimo (e più bravo di lui), caduto da cavallo in gioventù come in un romanzo di metà Ottocento. Il “secondo” per tutta la vita, questo personaggio interpretato da John Malkovich: il meno amato da due genitori che, dopo il lutto, non sono più in grado di parlare né deambulare o respirare, se non con l’aiuto di macchinari. Papa Giovanni Paolo III, deciderà di chiamarsi una volta accettato, non senza tormenti, il “mandato” della Chiesa di Roma. A Roma, in effetti, Malkovich professa la “Via Media”, l’amore tenero e non quello passionale (perché la passione fuorvia le nostre istanze di vita); ma è più che affascinato da Sofia, pierre sexy e senza scrupoli in Vaticano. <“Giovanni Paolo III” e il suo Vaticano> Paolo Sorrentino ha confessato di essersi trovato dinanzi non solo a un attore, ma a una personalità così impattante (quella di John Malkovich) da avergli cucito il ruolo addosso. Ancora una volta, il Papa di Sorrentino proietta nel suo rapporto con le mura di San Pietro il rapporto coi propri genitori: la necessità di un grande riscatto, di stati d’animo ossequienti di fronte alla “primogenitura” che in famiglia non gli è stata mai riconosciuta in nulla (anzi). Mentre Lenny Belardo, però, viveva con dolore le sue proiezioni di orfano abbandonato nella propria percezione di Dio, qui, il più anziano “Giovanni Paolo III”, a se stesso parla di se stesso: a chiunque parla di se stesso, e nel suo fragilissimo ombelico di porcellana, tra leziose (un po’ prevedibili) partiture di teologia e stravaganti incontri con le star di Hollywood, medita la propria inadeguatezza alle vesti papali. Mentre, in quell’ombelico di porcellana, il personaggio di Malokvich nuota, perso tra sensi di colpa e interrogativi schiaccianti sui grandi comprimari del “teatro ecclesiale” (su Voiello specialmente, che scopre essere un “topo di fogna” capace delle più spietate azioni), il Vaticano stesso diventa un luogo stranissimo. O forse, solo il Vaticano che, nel 2020, fantapoliticamente, noi tutti avremmo messo in scena. Suore femministe che lottano col simbolo del Me Too tatuato sulla schiena per la parità degli oneri e degli onori; personaggi come Ester, la donna che fu gravida, poi madre, grazie a un “miracolo” di Lenny Belardo nella prima stagione, che lucra sulla propria testimonianza di miracolata (poi, diviene prostituta di bordo alto ma quanto mai controverso: una prostituta innamorata del suo “cliente”, che si nasconde al mondo per una grave malformazione); un immigrato vive la sua passione per una giovane suora e la ingravida. E tanto, tanto di più. In un’atmosfera che richiama la dissolutezza sessuale, il malcostume, la corruzione, e le pessime facce di un “Gomorra in Vaticano”, o forse dell’Arcore che Sorrentino aveva messo in piedi nel suo Loro. Ancora, quell’atmosfera chiassosa de La grande bellezza, tutta intorno a un Jep Garbardella malinconico e svuotato, che qui non è uno scrittore partenopeo, ma un pontefice dell’aristocrazia britannica. La sceneggiatura, in questa folla e in questo rumore, concede comunque scintille: in un discorso di Papa Brennox a Sofia, lo sentiremo parlare ancora una volta di quanto sia importante “influenzare” chi ci circonda. “E, se non influenzo, mi pento” sentenzia Malkovich. “Di cosa?”, gli viene chiesto giustamente. “Di tutto” puntualizza perentorio lui. Strategico l’utilizzo del verbo “influenzare” (che qui sta per un generico “piacere agli altri”, “essere approvati e persuasivi”: forse, “non dover supplicare nessuno perché si creda alle nostre parole”): “influenzare” è il verbo calzante per questo Papa dandy ed ex consigliere fashion di Meghan di Sussex. Per criptico che sembri, il messaggio è universale e profondo: quando vorremmo avere un ascendente su qualcuno, ma non ci riusciamo, un senso di rimorso e di fallimento ci pervade: di più, ci capita di passare in rassegna tutti gli scivoloni, le sconfitte delle nostra vita delle quali ci sentiamo colpevoli. Anche questa è fragilità. La fragilità che, in un’acclamata omelia, Brennox invita a voler preservare nell’essere umano: la fragilità che Dio e la Sua Chiesa ameranno sempre. <Colpi di scena> Nel frattempo, Pio XIII giace in coma, ma aleggia nelle vite dei comprimari, risponde con una lacrima o sollevando il dito mignolo, ogni tanto, alle loro malefatte e ai loro turbamenti. Non si sa a cosa reagisca, non si sa se sia lui a determinare gli eventi. Certamente ne è a conoscenza, in senso più che parziale. Gomorra in Vaticano, romanzo nuovo rifranto in molte storie parallele, è l’anarchia che vige quando il Papa è un lezioso retore che cerca di stigmatizzare in suggestive (e un po’ noiose) teorie, elogi della fragilità (e mal si destreggia tra le sue gravissime dipendenze umane). Voiello, addirittura, depone “le armi” come Segretario di Stato: occasione insospettabile, questa, per trovare il suo volto più dolce e autenticamente affettivo. Ma, proprio mentre San Pietro è alla deriva, e addirittura un attentato della Guerra Santa lo devasta, accade il prodigio in cui nessuno sperava più. Lenny Belardo si risveglia a Venezia. <“Chi sei, veramente?”> Avevano trasmesso il suo respiro in radio per ventiquattro ore al giorno; c’erano un ritmo e certe aritmie, nel suo fiato, così particolari dal far intuire che il carisma mistico non avesse abbandonato Lenny neppure in coma. Ma vederlo di nuovo in piedi, vivo e splendido, forse non ce lo aspettavamo più. Pio XIII e il suo risveglio spengono “Gomorra”, ricominciano ad assegnare spessore e senso, identità smarrita, anche a tutti gli altri personaggi. Problematico, però, è capire per quale ragione Lenny sia tornato tra noi: la scienza non saprà mai spiegarselo, e lui stesso non ne ha idea, lo domanda al Padreterno appena lascia il letto d’ospedale. È più che mai certo che Lenny sia vettore di forze sovrannaturali. Ospite a Venezia nella grande casa del suo medico (prima di rientrare in Vaticano e senza una sorte, se non quella di “Papa emerito”), a Belardo viene chiesto un miracolo. Lo si implora di compiere una grazia. Il figlio del suo dottore, e della di lui consorte, è un adolescente malato di rara patologia neuromuscolare. Un mucchietto scarno di nervi e ossa incapace di interagire col mondo. Dapprima, Lenny si sottrae alla supplica; poi, rimasto solo col piccolo “Lazzaro”, invoca il prodigio al cospetto di Dio, ma lo fa con parole tutte personali. E questo è un momento cruciale, di significato supremo. Perché su queste immagini si incrociano quelle di Papa Brennox tra le mura di San Pietro. Pio XIII invoca severamente il cielo: ha gli occhi allagati di lacrime, e poderoso grida a Dio “Devi farlo uomo!” (riferendosi al giovane ammalato, a Venezia). Nello stesso momento, “Papa Malkovich” si sta svelando al cardinal Gutiérrez. Gli confessa le più sue bieche debolezze, gli rivela di non essere lui il vero autore de La via media, testo scritto, in realtà, dal giovane gemello morto. Al centro delle sequenze incrociate, incroce come non mai,è l’Uomo. Da un lato, la dignità umana di un ragazzino ridotto allo stato ligneo dalla natura crudele; dall’altro, la consegna, ad opera di un Papa incantevole, delle proprie miserie e dei propri struggimenti… a un cardinale omosessuale. Va rilevato che, come mai prima, in questa scena, vedremo l’attore nel ruolo di Gutiérrez truccato a regola d’arte: quasi “imbalsamato” nel contouring di luci e ombre attorno alle narici: ha bisogno, il suo personaggio in questo momento, di diventare un dipinto vivente, un’effigie sacrale e assolutoria, l’autorevolezza iconica di chi perdona. Inutile raccontare come Papa Belardo rientri in Vaticano e quali intricate strategie restituiscano Voiello al Segretariato, e i due pontefici viventi al confronto tra loro. La domanda vera è chi sia Lenny, cosa incarni, quali forze oltre-umane rappresenti. Perché più lo guardiamo agire, più pensare che sia un angelo o un santo ci torna difficile; ma altrettanto assurdo sarebbe pensare che sia frutto di esclusiva energia malevola, ombra dell’Anticristo. Chi sei, Lenny Belardo?, ci domandiamo tutti.<“Chiunque tu sia”> Tradimenti, beffe, trappole attorno al Vaticano culminano in un faccia a faccia molto intimo tra Jude Law e John Malkovich. “Chiunque tu sia” ha finalmente il coraggio di dire Brennox (e qui tentiamo una parafrasi), “Padre, Figlio, Spirito Santo o Demonio, l’unica cosa che devi fare adesso è donarti, da uomo, agli uomini. Nella tua Chiesa… che è fatta di uomini”. Brennox vuole cedere i paramenti papali a Belardo, vuole tornare a casa. Fino a un istante prima, l’equilibrio del potere era pilotato dagli occhi azzurri e dal magnetismo mistico e inquietante di Jude Law. Adesso, basta ingiungergli di tornare a essere umano, di parlare a una folla umana di cattolici, per rimpicciolirlo. Per terrorizzarlo. Chi sei, Lenny Belardo?, seguitiamo a domandarci sempre più spaventati. Per Giovanni Paolo III, Lenny è senza dubbio un “unto”, ma unto di cosa non lo sa e non gli interessa. “Vai a fare il Papa, vai a fare il prete… Chiunque tu sia” è il sottotesto pregno di sfida delle sue parole, prima di rientrare in Inghilterra. “Più difficile essere uomini che essere Dio o il Diavolo” sembra presagire. Come di fronte a un padre, Pio XIII obbedisce, e indossa abito e ruolo di pontefice una volta ancora. Di fronte al ventre spalancato di Piazza San Pietro, un’onda di tenerezza lo assale; anche per lui, in questa straordinaria omelia, è importante rispondere alla domanda che per tutti è centrale. “Chi sono io? Un resuscitato? E perché? Il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo… o l’Opposto di tutto ciò?”. Non ha importanza, conclude serenamente, di fronte ai fedeli, malinconico e serafico al tempo stesso. Guarda le stelle e invita a pensare che le risposte, la Verità, siano solo materia di Dio. Poi, stranamente, professa la stessa “via media” di Brennox, l’esortazione a vivere umanamente, nel recinto finito degli umani limiti, nella rassegnazione a non poter comprendere ragioni e forze superiori, ma, amando, fidarci di Dio. Intraprendere la via media. Ama tutto e tutti, ama la folla e ciascuno dei fedeli, intende abbracciarli singolarmente, stillare amore umano e divino insieme. Amore tenero. Ma, in un climax spettacolare di immagini (che non descriveremo), Belardo muore dopo pochi minuti. <Pietà e “Dio possibile”> Il senso ultimo sembra che, da “medio”, uno come Lenny non abbia senso… e il suo corpo giace esanime, consegnato ai piedi della Pietà di Michelangelo. Chi ha senso adesso è tutto quello che gli sopravvive. John Brennox, che, a casa sua, può amare Sofia. Il migrante e la sua amata suora, che lasciano prigioni e mura per amare il loro figlio. I genitori del ragazzino che, a Venezia, Papa Pio XIII non riuscì a guarire (morì, invece), ma adesso si preparano alla nascita di un altro bambino. Gutiérrez, che vive la sua sessualità. E Voiello, finalmente Papa. Ognuno felice nel proprio ruolo, insomma. Ognuno autentico perché, come nelle battute di un capolavoro di Almodóvar, finalmente “simile a ciò che ha sognato di se stesso”. Non una visione cattolica, quella di questo Papa e semi-dio, primo ministro della Chiesa Cattolica che a una folla di cattolici aveva provato a parlare un’ultima volta. La visione di un Dio possibile, superiore a qualunque dottrina. Un “dio” blasfemo, probabilmente, perché in lui agisce anche la stilla del Male, ma, riteniamo, di un Male necessario alla libertà di ciascuno di noi. E la via media è, per Brennox, eccentrica e fragile porcellana, la via della felicità; per Belardo, un tratto di strada molto breve, che lo consegna definitivamente alla morte fisica. Dio è il Dubbio, alla fine di tutto. La certezza è, di nuovo, un alito di vento.

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